Dimmelo adesso
Dimmelo adesso, quei bulli di provincia usciti dalla penna di…
La mia recensione è stata pubblicata su Il Messaggero del 2 novembre 2021
Sono donne di tutte le età, con storie ed emozioni diverse, le protagoniste indiscusse di Abbi cura di te, il nuovo libro della scrittrice pescarese (anche se «con l’anima legata alla Liguria», terra di origine), Maristella Lippolis. Il volume, che raccoglie 14 racconti e un ricettario finale, è stato da poco pubblicato da Ianieri Edizioni. Dopo gli ultimi romanzi in ordine di tempo (Raccontami tu e Non ci salveranno i melograni) la scrittrice torna alla forma narrativa dei racconti che le avevano fatto conquistare il prestigioso Premio Chiara, nel 1999, con La storia di un’altra. «Il racconto non è vincolato a una soluzione finale, può lasciare aperta la possibilità di un finale da immaginare, lascia la libertà di scegliere il futuro della storia, per chi scrive e chi legge», commenta la Lippolis. E proprio questa possibilità di un’alternativa caratterizza le protagoniste delle quattordici narrazioni che, come la bambina dell’ultimo racconto, che dà fra l’altro il nome alla raccolta, nei suoi giochi di esplorazione e scoperta vuole «vedere dove vanno a finire le strade». Il filo conduttore dei racconti è la cura – verso se stesse, le persone care, verso una storia – manifestata con parole, comportamenti, lettura e scrittura, casualità o premeditazione. L’immersione nelle tematiche declinate al femminile, che caratterizza l’opera di Maristella Lippolis, fa emergere in Abbi cura di te, ritratti di donne forti e determinate, ma anche consapevoli delle proprie fragilità. «C’è in tutte le vicende un momento di illuminazione che coglie ogni donna portando ognuna a ripensare a se stessa: uno spunto casuale, un ricordo, qualcosa accaduto e non compreso. E da quel momento, niente sarà più come prima. Ma tutte le donne raccontate», continua, «usciranno dalla storia rafforzate grazie alla funzione salvifica delle relazioni e dell’amicizia». Prendersi cura, è anche cucinare «qualcosa di caldo, qualcosa di buono» per sé o per gli altri, e a questo tema la scrittrice dedica un appendice con le ricette, liguri e abruzzesi, che vengono realizzate in ogni racconto. E in “Mi chiamo Ernestina”, che narra dell’ultimo rogo per stregoneria avvenuto a Campli all’inizio del 1600, sarà proprio la Lippolis a prendersi cura di una storia. «È forse il racconto che mi ha coinvolta di più emotivamente, nato dalla lettura di poche righe sul processo a questa giovane donna che conosceva e usava il potere curativo della erbe. Venne mandata al rogo insieme alla sua bambina». La Lippolis ha cambiato il finale, puntando sulla premura e la solidarietà di un’altra donna, dando a Ernestina la possibilità di un riscatto, quantomeno dal dolore fisico.
Hello there! This is my first visit to your blog! We are a group of volunteers and starting
a new initiative in a community in the same niche.
Your blog provided us useful information to work on. You have done a
extraordinary job!